Fedele alla verità

Biografia di Enrico Medi a cura di Vittorio De Marco

 

L’avventura terrena di Enrico Medi abbraccia un cinquantennio del secolo che stiamo per lasciare. Questa biografia prende le mosse dal suo arrivo a Roma, nel 1920. Il padre, medico, aveva deciso di trasferirsi con tutta la famiglia da Belvedere Ostrense, vicino a Porto Recanati, a Roma per offrire ai figli migliori possibilità nello studio e nella futura carriera.

Era nato il 26 aprile del 1911 a Porto Recanati da Arturo Medi e Maria Luisa Mei. La famiglia, durante la guerra del ’15- ’18, si era dovuta trasferire a Belvedere Ostrense, paese originario della madre, dove vivevano i nonni materni. La casa aveva anche una cappella frequentata quotidianamente dal piccolo Enrico che a Belvedere Ostrense fece le scuole elementari.

Qualche giorno prima della partenza definitiva per Roma ricevette la prima comunione.

Per Enrico Medi, i primi anni passati a Roma nel collegio di Santa Maria e poi nell’istituto Massimo tenuto dai gesuiti, furono fondamentali per la sua formazione culturale e soprattutto spirituale; lasciarono nella sua vita un’impronta incancellabile. Conobbe e fu vicino a delicate ma incisive guide spirituali: p. Innocenzo Cortezon al S. Maria, p. Giuseppe Massaruti e p. Hermann Haeck al Massimo.

La sua crescita culturale e religiosa andò irrobustendosi di pari passo nella cornice di queste due severe istituzioni romane che svilupparono in lui anche un’attenzione tutta particolare verso il mondo delle missioni. Fu tra i fondatori, al Massimo, della Lega Missionaria Studenti a cui restò sempre legato anche perché ne fu presidente onorario fino alla morte.

Nella Roma degli anni ’30 fu tra quei pochi e privilegiati studenti universitari che vissero l’atmosfera di frontiera dell’Istituto di Fisica di Via Panisperna, accanto ad Enrico Fermi e al suo gruppo di giovanissimi ricercatori. E dopo la laurea conseguita con Fermi, rimase nell’Istituto iniziando così la sua carriera universitaria, specializzandosi in fisica terrestre vicino ad Antonino Lo Surdo che lo volle subito suo stretto collaboratore. Frequentò la Fuci romana in un periodo di intenso dibattito interno sulla funzione ed il ruolo della Federazione, sulle scelte culturali e la formazione spirituale più adatta per i giovani universitari cattolici.

Ebbe familiarità di rapporti col cardinale vicario Marchetti Selvaggiani e con mons. Roberto Ronca suo assistente nell’associazione universitaria. La ricerca gli assorbiva gran parte del tempo, anche perché Lo Surdo gli affidava incarichi didattici oltre che di ricerca e nel ’36 lo cooptò nel nascente Istituto di Geofisica che Medi avrebbe poi diretto ininterrottamente dal ’49 al ’74.

Pubblicò in questo periodo non pochi studi di carattere scientifico che gli valsero premi e la libera docenza. Nel 1942 vinse la cattedra di fisica sperimentale all’Università di Palermo cominciando così un’altra fase della sua vita.

Ben presto, con la fine della guerra, all’impegno universitario si affiancò anche quello politico nella Democrazia cristiana.

La stima che si era guadagnato nell’ambiente cattolico siciliano lo portarono a candidarsi non nelle Marche o nel Lazio, ma proprio in Sicilia dove risultò, per l’assemblea costituente, tra i primi eletti. Prese con molto impegno e serietà questo incarico politico, nel ’46 come nel ’48,  allorquando venne nuovamente ricandidato in Sicilia per la prima legislatura.

Restò molto legato alla Sicilia di cui volle essere considerato un figlio. “In fondo – disse in un intervento all’assemblea costituente in riferimento al suo legame con la Sicilia – la maternità non è solo una questione di anagrafe, ma anche un problema di cuore”.

Non si vergognò mai di testimoniare nell’aula parlamentare la sua fede e la sua coerenza di cattolico; auspicava una politica che fosse veramente attenta ai principi del bene comune e sensibile alle esigenze di tutti e non un mero meccanismo di distribuzione di poltrone e prebende.

Cos’è la politica per un cristiano? – si chiese in un discorso nel ’67 – È un servizio reso agli altri dimenticando se stesso; è una rinunzia ai propri interessi e alla propria vanitàè un’altissima missione davanti a Dio; è un apostolato di proporzioni sconfinate“.

Guido Gonella, al tempo della sua segreteria politica, lo volle alla Direzione del partito nell’ufficio organizzativo dove Medi cercò di potenziare l’organizzazione periferica, sempre debole quando gli appuntamenti elettorali erano lontani, con un meccanismo nuovo preso in prestito dalla matematica.

L’esperienza politica complessivamente non lo entusiasmò e nel ’53 preferì tornare all’insegnamento universitario e alla ricerca scientifica.

Conobbe e apprezzò Luigi Sturzo che ricambiò la sua amicizia con altrettanta stima. Ambedue si interessarono dei tanti problemi della Sicilia e Sturzo per quanto gli fu possibile, aiutò Medi in uno dei più importanti progetti che lo scienziato volle realizzare nell’isola: l’Osservatorio Geofisico di Gibilmanna. Li unì tra l’altro un deciso anticomunismo e il convincimento che fosse necessaria una seria campagna di moralizzazione della vita pubblica in cui i cattolici avrebbero dovuto dare per primi l’esempio.

Medi non mancò nel ’52, alla vigilia delle elezioni amministrative di Roma, di essere vicino a Sturzo in quella che è passata alla storia come “l’operazione Sturzo” per evitare la conquista del Campidoglio da parte dei socialcomunisti.

L’altro rapporto intenso lo ebbe con p. Riccardo Lombardi con il quale collaborò al progetto per il “Mondo Migliore“. Lavorarono fianco a fianco per diversi anni, organizzando i corsi di formazione a Mondragone per i sacerdoti e le diverse categorie di laici cattolici; girarono la penisola, parlarono nelle piazze e nei teatri per il rilancio del cattolicesimo in Italia per la cristianizzazione della politica, per un rinnovamento cristiano tout-court della società.
Fu per Medi in quegli anni un’attività esaltante, convinto che il suo impegno religioso avesse trovato finalmente la strada giusta. La loro stretta collaborazione entrò in crisi nel momento in cui p. Lombardi volle associare al “Mondo Migliore” il movimento dei Focolarini, ma restò sempre cordiale il loro rapporto personale.

Si può dire che Medi fu tra i primi curatori di programmi televisivi nella nascente televisione italiana: dal ’54 al ’56, curò un programma di successo intitolato “Le avventure della scienza“.

Colpiva gli ascoltatori la semplicità espositiva di fenomeni fisici complessi; la capacità dello scienziato di rendere intelligibili leggi fisiche e grandi numeri attraverso piccoli ma efficaci esperimenti.

L’attività più propriamente scientifica si svolse invece nell’università e nell’Istituto Nazionale di Geofisica in particolare con ricerche sperimentali nel campo della sismologia, del magnetismo terrestre, delle radioonde e dell’ottica dell’atmosfera.

Le pubblicazioni dell’Istituto, i “Quaderni” e gli “Annali”, testimoniano di questo intenso lavoro di ricerca, particolarmente apprezzato dal mondo accademico.

Il campo di attività di Medi si ampliò alla fine degli anni ’50 con la designazione a Commissario italiano all’Euratom e vice presidente dello stesso ente.
Sull’Europa aveva le stesse idee di De Gasperi: era convinto che la nuova storia del continente, almeno la parte occidentale, avrebbe avuto senso se si fosse incamminata sulla via della integrazione politico-economica tra i vari stati.

Credeva fermamente nell’Europa unita, nella necessità di superare tutte le barriere di carattere nazionale per preparare alle future generazioni un mondo diverso, lontano da quella esperienza terribile che era stata la seconda guerra mondiale, vera e propria guerra civile per i popoli europei. Era necessario ai suoi occhi questo scambio delle complementarità nella unità dei fini da parte degli stati che avevano fondato la nuova comunità europea e che avrebbero in seguito aderito ad essa. ”Il cammino è lungo – scrisse nel gennaio ’58 -: leggi da eliminare, abitudini da cambiare, interessi, sia pure ristretti, ma sempre interessi da far tremare; tutto questo è difficile, ma si farà. Si farà nel commercio, nell’economia, nell’unità delle monete, nei problemi dei dazi, si farà nell’unire le migliori intelligenze delle nostre terre intorno ai misteri stupendi della natura e alla sua conquista“.

La collaborazione degli stati nel settore energetico e in particolare in quello dell’energia nucleare, era premessa fondamentale perché la comprensione dal campo della scienza passasse a quello dell’economia e della politica. Lo sviluppo comune delle ricerche, lo scambio di cognizioni ed esperienze scientifiche, il coordinamento delle politiche energetiche aprivano ai suoi occhi un futuro diverso per l’Europa e una formidabile stagione di rinnovamento tecnologico.

La burocrazia comunitaria inceppò i suoi sogni e la sua tensione ideale, gli creò difficoltà e incomprensioni, e quando il suo disagio interiore raggiunse il limite e vide che l’Euratom si stava allontanando dallo spirito originario del Trattato di Roma, preferì lasciare quella pur prestigiosa poltrona a Bruxelles e ritornare alle sue ricerche, ai suoi studenti, alla sua famiglia.

Riprese con più assiduità a girare l’Italia invitato da vescovi, enti cattolici e altre istituzioni a tenere quelle sue famose conferenze che entusiasmavano il pubblico, che lasciavano una traccia indelebile e un vivo ricordo in chi lo ascoltava per la immediatezza e semplicità di linguaggio, per la sua testimonianza di scienziato e credente che parla­va con tanta serenità del rapporto tra scienza e fede, dell’energia nucleare, dell’atomo, delle galassie, dell’universo dove in ogni punto di esso, macroscopico o microscopico, riusciva a trovare la traccia del Creatore.

I giovani erano i suoi interlocutori preferiti: sia quelli più compassati degli anni ’50 che quelli più turbolenti degli anni ’60-’70. Si, sforzò di capire le loro ragioni, le loro ansie, l’insoddisfazione e la critica verso le strutture universitarie e la stessa società italiana consigliando equilibrio, capacità di discerni­mento, fiducia nell’avvenire, dialogo, anche critico, con le proprie famiglie e la società.

Non è stato facile accennare alla sua spiritualità tanto essa è compenetrata in tutti gli aspetti della sua vita professionale, familiare e quotidiana. Fu in qualche modo una spiritualità da autodidatta nel senso che fin da fanciullo egli sembrò possedere le coordinate giuste per “tesaurizzare” tutti gli stimoli spirituali che gli venivano dal clima familiare, dalla preghiera e dalla comunione quotidiana. Il mondo del collegio S. Maria, del Massimo e l’influenza della spiritualità ignaziana vennero a innestarsi su una giovane pianta già rigogliosa.

Della sua spiritualità in questa biografia si sono offerte appena delle tracce che gli studiosi della spiritualità dovrebbero approfondire. Lo accompagnarono nella sua vita la preghiera, l’eucaristia, la pietà mariana, una fedeltà assoluta alla Chiesa e al papa, un intimo rapporto con Padre Pio, anche questo così difficile a delineare perché in gran parte sviluppatosi e cresciuto nel “foro interno”.

Divenne popolare al grande pubblico con la maratona televisiva del luglio ’69, dedicata allo sbarco sulla luna. Anche in questa occasione i telespettatori furono accompagnati da Medi, con semplicità e chiarezza espositiva, a vivere momento per momento quella straordinaria avventura. Fu inondato di lettere dì ringraziamento per quella sera­ta indimenticabile.

Ritornò alla politica attiva, espressa­mente invitato dalla DC, nel ’71 per le elezioni amministrative di Roma e l’anno dopo per quelle politiche. Ambedue le volte il suo successo fu straordinario. Ma si avviava verso il tramonto della vita terrena per un male incurabile che lo stava lentamente minando. Non volle chiudersi in se stesso; continuò per quanto gli fu possibile a vivere intensamente le sue giornate, a tenere conferenze, a partecipare alla vita politica della città per quel larghissimo mandato che gli elettori gli avevano dato. Morì il 26 maggio 1974.

Medi fu un cattolico impegnato, parte integrante e figura propositiva del cattolicesimo italiano contemporaneo. Egli sfugge a collocazioni rigide: fu certamente un convinto anti­comunista; diede il suo contributo all’Azione cattolica ma non cercò mai in essa responsabilità e posti di comando; guardò al Concilio con grande interesse sia per le nuove pro­spettive aperte dalla Gaudium et Spes e dalle encicliche Pacem in Terris di Giovanni XXIII e Populorum Progressio di Paolo VI, sia perché chiamava i laici ad una più intima colla­borazione con la gerarchia. Non si considerò mai nell’ambito cattolico né di destra né di sinistra, categorie per uno scienziato incomprensibili e poco funzionali. Di fronte all’accelerazione delle scoperte tecnologiche invitò la Chiesa a non arretrare, anzi a “cavalcare” la scienza contemporanea, ad es­sere presente e protagonista nell’èra nucleare, che definì in un suo discorso “l’èra di Gesù Cristo“.

Certamente Pio XII fu il “suo” papa con cui si sentì sempre in sintonia perfetta. Quando glì chiedeva udienza, il papa la concedeva sempre e subito. “Ero come un figlio devoto di Pio XII -ricordava in una conferenza del ’65 -, voi lo sapete.
Mi ha stretto al cuore sette giorni prima di morire per tre quarti d’ora. Sono stato con lui a Castelgandolfo: mi ha detto ‘Professore, allora giovedì quando ritorna da Bruxelles, l’aspetto’. Son tornato, era morto. E allora, alla radio vaticana dall’alto della colonna di S. Veronica al microfono  sono stato l’ultimo al mondo che gli ha dato l’ultimo saluto perché lo l’ultimo al mondo che gli ha dato l’ultimo saluto perché lo vedevo dall’alto, mentre le mani venivano chiuse e il corpo nascosto”. In ogni udienza del movimento del Mondo Migliore non mancava mai una parola particolare di Pio XII per Medi che ne rimaneva sempre commosso: “Ho ancora l’animo preso dalla più viva commozione – scrisse al papa in una di queste occasioni per le parole che la Santità Vostra si è degnata di proferire a mio riguardo nella udienza accordata a Castelgandolfo ai pellegrini fra i quali era il gruppo dei laici del Mondo Migliore, guidati dal Padre Rotondi. Le parole erano così al di sopra della mia piccola quota, che Esse segnano l’aspirazione e la meta della mia vita, e il sogno di potervi corrispondere è lo scopo ormai del mio lavoro”.

Cercò di essere sempre coerente con se stesso e fedele alla propria coscienza e a questo modello comportamentale conformò la sua azione e i suoi giudizi politici, la sua vita professionale, le scelte in altri campi e anche le rinunce e le umiliazioni.

Biografia tratta dal libro di Vittorio De Marco: Fedele alla verità, ed. Rubbettino