Attenzione verso i giovani

Quello con i giovani fu per Medi uno dei rapporti privilegiati della sua vita.
Fin dai primi anni dell’insegnamento universitario, come assistente di Lo Surdo, ebbe modo di avvicinare allora quasi dei coetanei, data la sua giovanissima età, poi un numero sempre crescente di studenti a Palermo e nuovamente a Roma. Altri giovani li incontrò nelle organizzazioni cattoliche e nelle tante città dove lo portò la sua attività di conferenziere.

 

Non si spaventò di fronte alla contestazione giovanile della fine degli anni ’60 e nei suoi interventi indicò chiaramente il loro disagio proprio col termine “contestazione”. Non emanò condanne senza appello, non si atteggiò a medico dei mali della gioventù studentesca di allora. Volle capire e, per quanto possibile, entrare nel cuore di quei giovani. Anzi, parlava spesso loro pubblicamente, fuori le aule universitarie, più che giudicare in modo negativo le loro azioni, approfittava per mandare un messaggio ai padri, alle famiglie, alla sua generazione che non si sforzava di capire il dramma che quei giovani stavano vivendo.
Non avete un punto di appoggio – diceva ad un gruppo di studenti nel novembre ’69 -, non avete un consiglio. I vostri genitori dicono di non capirvi; i vostri stessi fratelli e sorelle, se appena hanno cinque o sei anni più di voi, fanno parte di una generazione diversa. Cercate un confessore e non lo trovate, un amico e non lo trovate, una fiducia e non la trovate, un conforto del cuore, una dolcezza, un riposo, una poesia, una speranza e andate vagando nella tempesta alla ricerca di una luce di stelle che possa dare un po’ di consolazione al vostro cuore. Questo è il dramma profondo“. In una estrema e lucida sintesi, Medi coglieva i lati oscuri del disagio giovanile a cui bisognava dare urgenti risposte.

Più che una critica ai giovani dunque, era un segnale lanciato alle famiglie: bisognava curvarsi sulla gioventù del tempo che esprimeva le sue insoddisfazioni con rabbia, occupando scuole ed università, distruggendo anche materialmente ciò che trovava sul suo passaggio. Ma egli andava oltre questo frastuono e anche in questo caso non se la sentiva di condannare: li invitava a non sciupare non tanto le cose materiali, ma la loro stessa gioventù: “Quando tante volte vi vedo nella città universitaria bloccare il nostro istituto, appendere manifesti o rovesciare le macchine, provo un profondo dolore, non per la ridicola macchina rovesciata, ma per la constatazione di questo grido di angoscia nella vostra notte, che cercate di lanciare verso il cielo, quasi come un grido di disperazione, nel vuoto perché non c’è nessuno che ve lo colmi“.
Non si attardava su analisi politiche, né sulla forte connotazione ideologica che stava caratterizzando ormai il movimento studentesco. Egli indicava valori oggettivi buoni per tutti, qualunque fosse stato il colore ideologico: “Cercate di conservare l’equilibrio dentro di voi. Evitate l’eccitazione e l’esaltazione. Vanno parimenti evitate l’indifferenza e la follia delle cose. Serenità nelle cose“.

Il suo poteva apparire un invito fuori luogo, di fronte ad un fenomeno così complesso e nuovo che da quasi due anni stava attraversando la società italiana. Ma i segnali di allarme di questa insofferenza egli li aveva lanciati già anni prima, in pieno “boom” economico, quando la società italiana si stava trasformando velocemente. “Che cosa diamo alla nostra gioventù? -si chiedeva nel ’62 -Che cosa diamo ai giovani che hanno bisogno di sperare? Poco, sapete! Ma la gioventù aspetta“. Come docente universitario non poteva non percepire il crescente disagio giovanile, le tante speranze che si andavano accumulando nelle nuove leve che si iscrivevano all’università, sempre più numerose man mano che la riforma della scuola offriva anche agli studenti degli istituti tecnici la possibilità di accedere alle facoltà universitarie.

Ai suoi occhi non bisognava fermare in modo artificioso la protesta giovanile, bisognava al contrario far sentire ai giovani che si era loro vicini. Professore universitario, egli era parte in causa perché proprio il difettoso modello e funzionamento dell’università italiana era stato il detonatore della protesta giovanile.
Li sentiva vivi questi giovani, proprio perché avevano la forza di protestare e di urlare.
Non sappiamo come si svolse quotidianamente in quegli anni il suo rapporto con gli studenti della facoltà di Fisica; ma questi interventi pubblici ci indicano nel complesso le linee del suo comportamento che fu di attenzione, rispetto, preoccupazione e sforzo di capire le ragioni dei giovani. Temeva che nell’euforia della protesta gli studenti si creassero un mondo di idee che complicasse ancora di più la loro vita quotidiana. Li invitava quindi a valorizzare qualità insite nell’animo giovanile: intuizione, semplicità, chiarezza di cuore, rettitudine; di guardare soprattutto al futuro e verso questo essere ottimisti, e a non vedere solo gli errori e i mali nella società, altrimenti non sarebbero mai usciti da un pericoloso circolo vizioso.

In tutte le conferenze non mancava mai un accenno ai giovani a cui affidava il futuro dell’Europa: “C’è da costruire -così in una conferenza del ’65 -un’immensa e meravigliosa cattedrale, a voi giovani affidata: la cattedrale delle nuove idee, delle nuove concezioni che si liberano di pesanti fardelli, di pesanti inerzie, per aprire in visioni nuove, ma sagge come l’uomo, visioni grandi, che l’Europa conserva nel suo grande cuore, aprendo le braccia verso le genti che l’aspettano“. La gioventù era per Medi l’asse portante dell’Europa futura che egli già preconizzava unita nella società, nella politica e nell’economia.